Descritte sin dall’antichità come località pregne di grazia, pace e piacevolezza, Baia e l’area dei Campi Flegrei hanno rappresentato, per diversi secoli, uno dei più amati rifugi dell’aristocrazia romana, che non a caso sceglieva questi magnifici luoghi per rigenerarsi e fuggire momentaneamente dagli opprimenti intrighi della Capitale del Mondo. Qui, patrizi e imperatori si lasciavano andare, senza troppi sensi di colpa, all'antica pratica dell’otium, della spensieratezza e del “dolce far niente”, il tutto, ovviamente, dalla posizione privilegiata delle loro maestose ville, ricche di arredi sontuosi, i cui resti giungono oggi fino a noi. Queste testimonianze sono oggi conservate ed esposte nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, ospitato nel quattrocentesco Castello Aragonese di Baia, a sua volta scrigno di storie e vicende straordinarie, tutte da scoprire e vivere in prima persona.
Leggi di più“Nessun golfo al mondo risplende più dell’amena Baia”, queste le parole che il poeta Orazio usò per descrivere, alla fine del I secolo, uno dei primi e più apprezzati “buen retiri” della storia italiana, nonché uno dei principali luoghi simbolo dell’identità campana.
In epoca romana, la collina sulla quale oggi sorge il Castello di Baia, attuale sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, era occupata da un complesso residenziale, verosimilmente la villa di Cesare che Tacito affermava si trovasse proprio su una dell’alture affacciate sul golfo di Baia. I resti di questa costruzione vennero sicuramente inglobati durante la costruzione della fortezza alla fine del Quattrocento, ma nel corso dei recenti lavori di restauro sono venute alla luce diverse strutture superstite, in particolare nelle parti più alte del castello e lungo la scarpata che scende verso il mare.
Il castello fu edificato nel 1495, anno particolarmente significativo per la storia del Regno di Napoli. L’anno prima, infatti, alla morte del re Ferdinando d’Aragona, il trono venne ereditato dal primogenito, Alfonso II, poco prima dell’invasione armata da parte del re di Francia, Carlo VIII, che vantava un lontano diritto ereditario sulla corona napoletana. Terrorizzato da incubi e cattivi presagi, Alfonso abdicò in favore di suo figlio Ferdinando II e fuggì in Sicilia, dove si rinchiuse in un monastero, morendo alcuni mesi dopo. Raggiunta Napoli, Carlo VIII sbaragliò le difese aragonesi, il tutto mentre le province campane si sottomettevano al nuovo sovrano d'oltralpe, salvo che le città di Gaeta, Tropea, Amantea e Reggio. Rifugiatosi in Sicilia, Ferdinando cercò il sostegno del cugino, Ferdinando il Cattolico, re della Corona d’Aragona, che lo aiutò a scacciare i francesi e a riconquistare il regno. Ciononostante, Ferdinando I morì senza eredi nel 1496, ad appena 28 anni, e così il trono fu ereditato dallo zio Federico, che regnò fino al 1501, altro anno cruciale a dir poco cruciale per la Campania. Posto di fronte alla minaccia di una nuova invasione francese, Ferdinando il Cattolico decise di stipulare con Luigi XII, nuovo re di Francia, un trattato segreto che prevedeva la divisione in parti uguali del Regno di Napoli: la Francia otteneva il controllo della Campania e degli Abruzzi, mentre alla Corona di Aragona venivano assegnate le Puglia e la Calabria. L’accordo, tuttavia, non venne mai rispettato, e, nel 1504, Ferdinando invase e conquistò il Regno di Napoli, dichiarandolo vicereame della corona spagnola.
Dopo l'eruzione del Monte Nuovo, il viceré spagnolo Pedro Álvarez de Toledo avviò una radicale opera di ristrutturazione e ampliamento delle fortezze costiere, in modo da renderle più efficaci contro le incursioni saracene e turche. Anche il castello di Baia fu interessato da questi lavori di miglioramento, che durarono dal 1538 al 1550 e che gli donarono la sua attuale forma di stella. Il castello conservò la sua funzione militare lungo tutto il periodo del vicereame spagnolo (1503-1707), e lo stesso accadde durante il dominio austriaco (1707-1734), e infine durante il regno borbonico (1734-1860).
Dopo l’Unità d'Italia (1861), la fortezza visse un periodo di decadenza e d’abbandono, finché, nel 1927, lo Stato ne dispose la concessione al Reale Orfanotrofio Militare, che ne dispose numerosi lavori di ristrutturazione. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, il castello fu brevemente utilizzato come carcere e soggiorno per prigionieri di guerra, prima di tornare alla funzione di orfanotrofio militare, che mantenne fino al 1975.
In occasione del devastante terremoto dell'Irpinia del 1980, la fortezza, nel frattempo passata alla Regione Campania, fu adibita per alcuni anni a rifugio straordinario per alcune famiglie napoletane, prima di venire definitivamente consegnato, nel 1984, alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta perché diventasse sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Aperto nella sua configurazione attuale nel 2010, il Museo fa anche parte del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, un Istituto del MiBACT dotato di autonomia speciale (DM 23 gennaio 2016) che comprende i principali siti e monumenti archeologici del territorio flegreo.
Il Museo propone un ampio ed affascinante percorso espositivo incentrato sulla ricostruzione e restituzione concettuale ed estetica di tutte le particolarità storiche, culturali e naturalistiche tipiche dell’area flegrea. La struttura espone infatti testimonianze eccezionali, come il "Sacello degli Augustali" di Miseno, ricostruito con la sua decorazione architettonica e scultorea; il complesso delle sculture del Ninfeo di Punta Epitaffio, ritrovato nel corso di uno scavo subacqueo; e la raccolta dei "gessi di Baia", composta da centinaia di frammenti di calchi eseguiti direttamente sulle più celebri sculture greche dell'età classica e adoperati, tra il I e il II secolo d.C., come modelli per la realizzazione di copie marmoree destinate a decorare ville e edifici pubblici.